giovedì 5 maggio 2011

Compro oro e vendo argento

Finale 1°-2°
C.A.A.P. vs DUE FIUMI 8-5 (Corcagnano, 29/04/2011)

Finale 3°-4°
PRISMA vs DUCHESSA COLTARO 5-10 (Corcagnano, 29/04/2011)




Tratto da www.maxim.it

Secondi a vita

Eterne promesse o eterni incompiuti. Chiamateli come volete. Loro sono semplicemente i numeri due. Quelli che a un passo dalla meta… tac, fanno flop. E si laureano primi. Dei perdenti.

di Joni Scarpolini

Numero uno e numero due. O più semplicemente, il vincitore e lo sconfitto. Non servono troppi giri di parole, alla fine va così: chi vince gioisce per aver scampato il pericolo di piangere, chi perde piange per aver mancato la possibilità di gioire. La differenza sta tutta lì, in un gruzzolo di stati d’animo, sperati e non vissuti, vissuti e insperati. Ma comunque sempre e solo emozioni, che in un mondo possibile sarebbero capovolte a clessidra. Destini sportivi che s’incrociano e si scambiano per colpa di un autogol al novantesimo o di un canestro alla sirena. Perché tra vittoria e sconfitta c’è di mezzo la carta velina.

-Secondi di se stessi
Tra le pagine di Io ce la potevo fare - Storie di eterni secondi dello sport, mediocri nel cuore, talenti sprecati, Fabio De Santis spiega la fragilità di questo spago, sottile quanto basta per mettere il numero uno aldiquà del numero due. Già, il numero due. Meglio conosciuto come il primo dei perdenti, l’eterno secondo. “Essere secondi è solo una questione di tempo! E in questo lo sport, forse più che per ogni altro aspetto, è una grande metafora della vita. Anche chi non ha è mai stato battuto un giorno sarà secondo di se stesso”. Viene in mente la saggezza greca secondo cui il vero vincitore è colui che difende la propria vittoria ogni giorno sfidando la morte. Beh, l’esempio potrebbe essere un tantino esagerato. Ma se pensi a Muhammad Ali, eternamente primo sul ring negli anni Sessanta (a diciotto era già medaglia d’oro olimpica) e irrimediabilmente secondo oggi a causa del morbo di Parkinson che lo costringe su una sedia a rotelle, ti accorgi che la vittoria è un istante che fugge e che potrebbe non tornare mai più.

-Talenti sprecati
Ci sono però numeri due e numeri due. C’è chi è secondo perché ha avuto la sfiga di imbroccare il luogo e il momento meno indicato per sfidare il destino. “Foreman nel 1974 era la rappresentazione migliore della potenza, della gioventù, del pugilato vincente; aveva spazzato via Frazier e chissà per quanti anni avrebbe potuto competere ad altissimi livelli con la cintura del campione. Magari invece che vincere il titolo nuovamente nel 1994 a quaranticinque anni lo avrebbe gestito in scioltezza fino a trentacinque e si sarebbe dedicato ai barbecue con dieci anni di anticipo. Ma sfortunatamente per lui l’era di Ali non era ancora finita e in quella notte stregata di Kinshasa il povero George ne avrebbe avuto un doloroso assaggio, tanto da entrare in depressione negli anni successivi”. C’è chi invece è secondo perché la natura non gli ha regalato alcun talento particolare e la salita è così ripida che quando arriva ad arrampicarsi sul secondo gradino non ce la fa più e molla la presa proprio sul più bello: “Chi non ricorda Ivan Lendl? E’ dura dire che non sia stato un numero uno del tennis mondiale (record di permanenza in testa alla classifica ATP 270 settimane di cui 157 consecutive), però è altrettanto certo che era una macchina costruita per essere perfetta e che alimentava la perfezione con allenamenti continui, ossessivi, estenuanti; pur sempre una macchina però. E va in pensione con un grande cruccio, cinque semifinali e due finali perdute a Wimbledon, l’unico torneo del grande slam che non è mai riuscito a conquistare; il suo millimetro dal mito, che si ferma dove l’allenamento non può niente,dove hanno vinto dei giovanissimi inesperti (tale all’epoca Boris Becker) o dei pazzi scatenati come Pat Cash, che l’erba di solito la infilava in cartine sottili. Però entrambi avevano il talento che Lendl non ha mai trovato in nessun supermercato”. Oppure c’è chi di talento ne ha troppo ma rimane ostaggio dei propri soverchi. E’ il caso dell’ex calciatore inglese della Lazio Paul Gascoigne che “senza eccessi non sarebbe stato Gazza, e poi sarebbe stato troppo difficile redimere uno che già a undici anni passeggiava nudo lungo il Tamigi con una bottiglia di birra in mano (...).L’ultimo paradosso è che per uscire dal circolo vizioso dell’alcol è diventato dipendente da Red Bull. Più di sessanta lattine trangugiate al giorno”.

-Il giorno e la notte
Il primato è un concetto relativo, non assoluto. Il più delle volte, vincere significa essere eroi per un giorno. Poi arriva la notte e tutti si addormentano sulla tua impresa. Che rimane negli almanacchi, certo, ma in una sola casella, troppo piccola per essere rammentata con i dovuti onori. “Rocky Marciano si ritira da imbattuto campione del mondo dei pesi massimi con 49 incontri da professionista tutti vinti, per molti il più grande campione di massimi di tutti i tempi. Eppure la sera del primo incontro con J.J. Walcott, tocca il tappeto per la prima volta in carriera, nel momento più importante della sua vita, la sera che combatte per il titolo e al primo round. Sotto otto secondi, valgono una vita! Quante cose si possono fare in otto secondi?”. Il numero due è fatto così, ce la mette tutta perché sa che il limite che lo separa dal numero uno si sposta sempre di un centimetro in là. Più il due si avvicina più l’uno si allontana, come quando insegui una foglia che si lascia trasportare dal vento ma non acchiappare dalle tue mani. È il senso di frustrazione che incoraggia e al contempo deprime l’eterno secondo. È la consapevolezza della propria precarietà che lo rende cocciuto. Il numero due è un eroe tragicomico, in cui il dramma dell’incompiuto si mescola con l’umorismo di chi sa che non ha nulla da perdere. Perché in fin dei conti, il primo dei perdenti non è secondo a nessuno. Se non al numero uno. Ma quello sta aldilà dello spago. Ed è irraggiungibile.

Joni Scarpolini